27 luglio 1993, ore 23.14, una fortissima esplosione che investe e uccide tre vigili del fuoco Carlo La Catena, Sergio Pasotto e Stefano Picerno, insieme al ‘agente della Polizia Locale di Milano Alessandro Ferrari e travolge mortalmente Moussafir Driss. È la nota strage di via Palestro, di cui ricorre oggi il 31esimo anniversario.
Ho avuto questa mattina l’onore di rappresentare il Comune di Milano e di ricordare il sacrificio di queste persone, vittime mentre stavano lavorando per la sicurezza di tutti, vittime di una strage di mafia, parte della strategia del terrore 1992 e 1993, realizzata per ricattare e intimidire lo Stato. Non possiamo dimenticare.
Il mio intervento
Quella sera l’agente della Polizia Locale di Milano Alessandro Ferrari, in servizio attento come tanti giorni e notti della sua esperienza di agente nelle strade di Milano, nota del fumo bianco uscire da un’automobile parcheggiata in via Palestro, richiede l’intervento dei Vigili del Fuoco. I Vigili del Fuoco in servizio presso il distaccamento di via Benedetto Marcello, come in tante notti e giorni, sono chiamati ed escono velocemente e si recano sul posto con il loro mezzo. Mentre i Vigili del Fuoco e l’agente di Polizia Locale cercano di intervenire, ecco la fortissima esplosione che uccide i 3 vigili del fuoco, l’agente della Polizia Locale e Driss che dormiva su una panchina lì vicino. La prima esplosione provoca danni alla Galleria d’Arte moderna e al Padiglione di Arte Contemporanea. Poi una seconda esplosione causata da una sacca di gas formatasi in seguito alla rottura di una tubatura causata dalla deflagrazione, procura ingenti danni al padiglione, ai dipinti che ospitava e alla Villa Reale. Una strage.
I processi e le sentenze ci dicono con certezza che si tratta di una strage mafiosa, volta a ricattare lo Stato, così la definisce la lapide posta dal Comune di Milano nel 2013.
Una strage non isolata, ma parte di un disegno, una strategia: la strategia del terrore.
Anche qualche decennio prima altri avevano tentato la strategia del terrore. E qui ci prova la mafia.
Nel 1992 e 1993 tanti episodi di questa strategia, in tutto il Paese. Una fase storica dove lo Stato cercava di reagire con decisione alla mafia, giungendo a risultati importanti, frutto di un nuovo impulso e una strategia che stava rivelandosi vincente, che univa strategie investigative e pensiero sociale e politico, azioni di cittadinanza e di cultura.
Il 30 gennaio 1992 la Corte di cassazione confermò la sentenza del Maxiprocesso che condannava Riina e molti altri boss all’ergastolo. Un passaggio storico fondamentale.
La mafia siciliana decide di reagire, di lanciare la sfida allo Stato, colpendo magistrati, appartenenti alle Forze di Polizia, ma anche cittadini, e luoghi simbolici della cultura e dell’arte del nostro Paese. Come altri già in passato, si cercava la strategia della tensione, della paura, del ricatto allo Stato, cercando di convincerlo a desistere, ad allentare la stretta alla mafia. E per farlo, la mafia aveva deciso di colpire i simboli e testimoni che rappresentano lo Stato, che creano unità, identità, fiducia.
Una sequenza impressionante da non dimenticare.
4 aprile 1992 il maresciallo dei carabinieri Giuliano Guazzelli
23 maggio 1992 Giovanni Falcone, la moglie e gli agenti della scorta;
19 luglio 1992 Paolo Borsellino
14 settembre 1992 tentato omicidio del commissario Calogero Germanà
14 maggio 1993 tentato omicidio di Costanzo
27 maggio 1993 attentato in via dei Georgofili alla Galleria degli Uffizi a Firenze con 5 vittime
27 luglio 1993 attentato di via Palestro a Milano
28 luglio 1993 bombe alle chiese di Roma a San Giovanni in Laterano e San Giorgio in Velabro.
Lo Stato, dopo l’omicidio di Giovanni Falcone, nel giugno 1992 decise di utilizzare il regime di carcere duro, il 41-bis nei confronti dei detenuti condannati, indagati o imputati per i delitti di associazione per delinquere di stampo mafioso, nonché i delitti commessi per mezzo dell’associazione o per avvantaggiarla. E quindi la mafia cerca di spaventare ancora di più, per indurre lo Stato a cedere.
Alla fine la strategia della mafia fallì, e lo Stato, la Repubblica, la Democrazia, la cultura della legalità, ebbero la meglio, grazie alla capacità delle Istituzioni, dei cittadini, delle aggregazioni sociali e sindacali, di resistere e lottare, per i valori della Costituzione, per la Libertà e la Giustizia.
La lotta alla mafia però non è finita, se la strategia della tensione e il tentativo di ricattare lo Stato con il terrore e la paura, fu bloccato, la mafia ha poi scelto altre strade più subdole, quali le infiltrazioni nelle istituzioni, nelle imprese, nella finanza.
La capacità di reazione di quegli anni deve continuare ad insegnarci come non dobbiamo mai abbassare la guardia, allentare la tensione per i valori che ci hanno permesso di sconfiggere quella strategia e di tenere unito il Paese. E come la mafia cambia strategia, noi dobbiamo consolidare le basi, rafforzare i capisaldi della democrazia, della libertà, della giustizia, delle istituzioni, della coesione sociale, e nello stesso tempo dobbiamo mettere anticorpi, e disseminarli anche quando apparentemente sembra tutto tranquillo. E più passa il tempo da quelle stragi, più dobbiamo raccontare, tessere, agire. Non possiamo e dobbiamo dimenticare e dopo più di 30 anni dobbiamo fare di tutto per tenere viva la memoria di come quella strategia folle fu vinta, dobbiamo tenere viva la memoria sul fatto che le istituzioni democratiche e i loro valori non sono consolidate un giorno per sempre, ma vanno coltivate, rinforzate, tutelate. Per questo ogni anno siamo qui, come negli altri luoghi simbolo di questa battaglia, e lo saremo anche nel futuro, sempre.
Ma ogni 27 luglio, e ogni volta che ci troviamo a passare da qui, dobbiamo leggere con attenzione quella lapide e quelle parole. Ci sono scritti i nomi di persone che hanno perso la vita in questa sfida: Carlo La Catena, Sergio Pasotto e Stefano Picerno, Alessandro Ferrari, Moussafir Driss. E dobbiamo ricordare ciascuna di queste persone che hanno avuto la vita spezzata, e innanzitutto dobbiamo non dimenticare il dolore per i loro famigliari, i loro cari, i loro colleghi e colleghe, che hanno visto in un attimo interrompere relazioni, legami, affetti.
Ma qui desidero soffermarmi su un passaggio fondamentale.
Carlo La Catena, Sergio Pasotto, Stefano Picerno, Alessandro Ferrari, non erano li per caso. Erano Vigili del Fuoco e Agente della Polizia Locale che come ogni notte e ogni giorno, come tantissimi e tantissime loro colleghi e colleghe, erano in strada, erano accorsi in strada, per tutelare la sicurezza, la tranquillità, il buon vivere di tutte le persone che abitano e vivono le nostre città. Queste quattro persone, questi quattro lavoratori, erano in servizio, e sono stati tratti in trappola da chi ha pensato questi attentati, sono morti perché stavano svolgendo il loro lavoro, perché erano accorsi per tutelare tutti i cittadini. Non dobbiamo dimenticare il loro sacrificio, il sacrificio della vita, ma anche e soprattutto il sacrificio di chi ogni giorno e ogni notte è al servizio della comunità, e lavora con passione, dedizione, professionalità costanza perché tutto funzioni al meglio, perché si allontanino i pericoli, perché le persone possano vivere tranquille.
Chi ha fatto questo vile attentato ha voluto colpire non solo lo Stato come entità, come organizzazione, ma ha voluto colpire le persone che con il loro lavoro rendono credibili le Istituzioni, concretizzano i valori e i principi su cui le Istituzioni sono fondate.
Per questo oggi nel ricordare Carlo La Catena, Sergio Pasotto, Stefano Picerno, Alessandro Ferrari, dobbiamo domandarci come rafforzare ogni giorno l’azione di queste lavoratrici e lavoratori, come fare in modo che possano svolgere al meglio il loro compito e come possano al meglio comunicare, testimoniare e alimentare la fiducia di tutti nelle istituzioni e nei valori che le alimentano. Non dimentichiamo le loro storie, non trascuriamo il significato del loro servizio competente e appassionato, raccontiamo quanto accaduto e il significato e la forza del servizio alla comunità, perché sempre più persone possano vivere o apprezzare l’esperienza del lavoro per la comunità, e perché in quell’esperienza di servizio si continui a testimoniare che i valori, i principi, le istituzioni sono incarnati in storie, passioni, emozioni, azioni, relazioni: queste sono le testimonianze che rinsaldano la comunità, rafforzano la coesione, danno senso, valore e concretezza alla Repubblica.
Nel sacrificio di queste 5 vite, nel servizio di voi Vigili del Fuoco, di voi agenti di Polizia Locale, di voi tutte Forze di Polizia e persone che operate nello Stato e negli Enti Locali, c’è la forza e il senso delle Istituzioni, che tiene unito il nostro Paese.
Credits Image: Daniele Mascolo