Marco Granelli

Afghanistan: dopo l’evacuazione si apre la fase dell’accoglienza, ma occorre il ripensamento della politica internazionale

In Afghanistan si stanno concludendo le operazioni dell’evacuazione degli stranieri e degli afghani che rischiano maggiormente la vita. Si conclude un’attività difficilissima e pericolosissima ma necessaria e giusta per mettere in salvo più persone possibile. Grazie a chi ogni giorno ci ha lavorato e ci lavora. Ora si apre una seconda fase, nel nostro paese e in tanti altri dell’Occidente: quella dell’accoglienza di 100.000 persone, alle quali è giusto dare accoglienza e integrazione. Ma vi è un’altra seconda fase, quella dei profughi che probabilmente via terra continueranno a scappare, come già negli ultimi anni e soprattutto mesi avveniva. E qui dobbiamo essere capaci di gestire bene questo esodo. E questa volta l’Europa non può girarsi dall’altra parte, o lasciare soli alcuni Paesi, o farsi tentare di delegare la questione dei profughi a Paesi non affidabili come Turchia, Libia o altri simili. L’Europa stavolta deve essere capace di scegliere da che parte stare e assumersi tutte le sue responsabilità, e il dovere dell’accoglienza di scappa dall’ingiustizia. Ho visto quanto successo per la Siria, e non possiamo più permetterlo.

Ma forse è anche un altro tempo: quello del ripensare le politiche internazionali: in 20 anni l’Occidente è stato in Afghanistan per cercare di aiutare a far crescere uno stato democratico, spendendo 2.261 miliardi di dollari e con 170.000 vittime delle quali 7.000 dei Paesi occidentali. E la stragrande maggioranza di queste risorse sono state per spese militari. Anche l’Italia ha speso soldi e avuto le sue vittime: 8,4 miliardi di € e 53 vittime. E tutti questi soldi sono stati bruciati in una sconfitta militare e civile, lasciando un Paese in mano ad una dittatura medioevale, che calpesta i diritti umani di tutti a partire dalle donne. Quando alcuni ci ricordano che le guerre non risolvono i problemi, ecco, qui ne abbiamo un esempio. Forse dobbiamo incominciare a non lasciar fare le strategie a chi deve vendere le armi, ma a chi vende progetti di sviluppo, di istruzione, di salute: almeno proviamo. E dalla storia dobbiamo imparare, e qui non ci sono soluzioni semplici e facili, ma forse dobbiamo studiare e cambiare strategia, e provare. E forse capire come nella storia anche dove ci sono state le guerre, come la seconda guerra mondiale, la democrazia è stata costruita rispondendo ai bisogni essenziali delle persone: il cibo, il lavoro, l’istruzione, la sanità, e anche la costruzione di una classe dirigente. Forse bisogna pensare a politiche estere così. E i temi da risolvere e le crisi sulle quali intervenire non sono lontane dall’Europa, ma qui dietro l’angolo: si chiamano Libia, Tunisia, Giordania, Egitto, Libano, Siria, … qui tutto attorno al nostro mare mediterraneo.

È forse tempo che l’Europa guardi a come investire sul Mediterraneo, su tutti i Paesi che si affacciano su di esso, per far crescere democrazie, libertà, sviluppo economico, diritti sociali e civili. Basterebbe dimezzare le spese militari e utilizzare quella metà in sviluppo, istruzione, lavoro e salute; non è per nulla facile, ma almeno proviamoci. Abbiamo buttato via solo in Afghanistan miliardi e miliardi, proviamo a sperimentare qualcosa di diverso. Forse una vera alleanza ONG e Istituzioni, unite, farebbe la differenza, anche nel nostro mediterraneo.

Credits Picture: Fanpage.it.