Marco Granelli

Oggi una bella mattinata di riflessione alla Casa della Carità, a 19 anni dalla sua fondazione

Casa della Carità, oggi a 19 anni dalla sua fondazione a Milano in via Brambilla, sono stato alla mattinata di riflessione con il fondatore e presidente don Virginio Colmegna e mons. Luca Bressan vicario episcopale per la carità, la cultura, la missione e l’azione sociale, insieme ai consiglieri Massimo Minelli e Gianfranco Crevani, e poi la messa con tutta la comunità.

Un segno concreto dell’azione e della riflessione, sull’accoglienza, sulla carità, sull’integrazione, sulle politiche e azioni sociali e sanitarie, nato nel 2002 dalla volontà del cardinale Martini ormai al termine del suo mandato episcopale a Milano, dall’intraprendere di don Virginio Colmegna, dalla collaborazione con il Comune di Milano con l’allora Sindaco Gabriele Albertini. Ancora oggi un segno concreto di condivisione con le persone in difficoltà, un luogo di pensiero e cultura sui legami sociali, sull’integrazione delle persone, sugli stili di vita, su come una città, un quartiere costruiscono il loro volto accogliente di luogo di vita per tutti.

Tanti servizi e iniziative, oggi con una proposta concreta sulle case della salute, intese come luoghi di cura nel quartiere, per ricostruire una sanità territoriale non prestazionistica ma immersa nelle condizioni di vita quotidiana delle persone. Mons. Luca Bressan ha ricordato come il cardinale Martini nel 1986 con il convegno Farsi Prossimo chiese alla diocesi di riflettere sulla parabola del buon samaritano, una parabola, una storia inventata, per spiegare concretamente al dottore della legge chi è il prossimo e come si è prossimi. La casa della carità è una parabola per chiedere alla Chiesa e alla città come “farsi prossimo”. La casa della carità è una parabola anche per il Comune di Milano, che gli chiede di pensare il suo “farsi prossimo”, lo chiede alla politica.

Io penso che la prima cosa per farsi prossimo sia la necessità di una città di ricostruire i legami fra le persone, nelle strade, nei quartieri, nei luoghi di lavoro, perché senza legami non si vive, si è soli e abbandonati. Penso che questo ci insegni che nella realizzazione delle case della salute dovremo essere capaci di mettere servizi, persone, azioni per creare, rammendare, curare i legami. Penso che se una città come Milano ha ancora persone povere o sole deve fare in modo che questi legami esistano e siano forti.

Una città come Milano deve chiedersi che in luogo abbandonato come l’ex macello si trovano 130 giovani che vivono nell’illegalità come fantasmi, serve sgomberare, serve contrastare le loro attività illegali, ma serve anche chiedersi perché non siamo stati capaci di realizzare con loro un percorso di integrazione. E per farlo serve una grande alleanza fra istituzioni come il Comune e i Municipi, il terzo settore, i cittadini, le imprese, perché una città senza legami è senza futuro, è insicura, lascia i suoi cittadini nella solitudine, nella povertà e questo oggi non è pensabile, ancora di più dopo due anni di pandemia. Oggi la Casa della carità mi ha scosso, perché anche nel mio essere assessore alla sicurezza della mia città dovrò lavorare su questo.